Ambulanze: l’evoluzione dei mezzi di soccorso nella storia
Nella nostra moderna e fortunata concezione, le ambulanze sono dei mezzi di soccorso che, in pochi minuti dalla chiamata, intervengono per prestare le prime cure ai feriti e, se necessario, li trasportano rapidamente al più vicino ospedale.
I volontari e gli infermieri operano con professionalità, garantendo un intervento tempestivo, proprio come faranno poi i medici in ospedale. In altre parole, l’ambulanza rappresenta un vero e proprio ospedale su ruote, capace di salvare vite direttamente sul posto.
Ma non è sempre stato così. Fino alla seconda metà degli anni ’60, l’ambulanza era solo un mezzo di trasporto. L’unico obiettivo era raggiungere l’ospedale il più in fretta possibile, senza alcun tipo di intervento a bordo.
Una storia affascinante quella dell’evoluzione dell’ambulanza che è stata raccontata anche nel raduno dei mezzi di emergenza svoltosi durante la scorsa edizione del Salone internazionale dell’emergenza Reas. Vediamo ora quali veicoli sono stati presentati e come si è evoluto il trasporto sanitario nel tempo.
Quando le ambulanze erano ceste
Il percorso delle ambulanze nel tempo si intreccia con quello delle istituzioni di assistenza più longeve. Un esempio emblematico è la Confraternita della Misericordia di Firenze, fondata nel 1244 e riconosciuta ufficialmente dal Comune di Firenze nel 1329. Questa organizzazione, la più antica nel suo genere in Italia, si è sempre dedicata al soccorso dei bisognosi, specialmente nel trasporto di malati e feriti e nella sepoltura dei defunti abbandonati. Nel corso del tempo le sue attività si sono moltiplicate e i confratelli si sono dedicati anche all’assistenza dei condannati a morte, alla visita dei detenuti, al trasporto dei malati di mente.
La prima forma di ambulanza utilizzata dai confratelli era la zana, una grande cesta imbottita di paglia, trasportata sulle spalle da un volontario. Funzionava come una sorta di zaino e variava nelle dimensioni a seconda dell’utilizzo.

Si trattava di un compito estremamente gravoso. Oltre al peso della zana e del paziente, i fratelli dovevano indossare un’ampia veste nera con cappuccio, detta “buffa”. Questa veste non solo offriva una protezione contro il contagio, ma garantiva anche l’anonimato dei suoi indossatori. Tale abbigliamento rimase in uso fino ai primi decenni del Novecento, quando fu sostituito da uniformi più moderne e conformi alle normative sanitarie dell’epoca.

Cataletti e carri a mano: un’evoluzione faticosa
Fino a quando Firenze rimase racchiusa nelle sue mura medievali, il servizio di trasporto era senza dubbio faticoso, ma comunque fisicamente sostenibile. Tuttavia, con l’espansione della città, in particolare durante il periodo in cui Firenze divenne capitale (1865-1870), il carico di lavoro per la squadra dei fratelli divenne insostenibile. La fatica del trasporto iniziò a pesare così tanto da generare il timore di un progressivo abbandono della Confraternita da parte di coloro che prestavano servizio attivo. In risposta a questa difficoltà, i volontari cominciarono a utilizzare i cataletti. I cataletti erano piccole lettighe coperte di paglia, che venivano poi bruciate per prevenire la diffusione di malattie infettive. Questi cataletti erano generalmente dotati di un cassetto per riporre gli oggetti necessari al soccorso.
Come riporta, StoriadiFirenze, dal 1903 in poi, la Confraternita decise di affiancare ai tradizionali cataletti a spalla dei più agevoli carri a mano, veicoli montati su due grandi ruote dotati di barella e completati da due lunghe stanghe anteriori. Il trasporto in questo caso avveniva con una persona in cima al convoglio che tirava il carro e gli altri che da dietro lo spingevano; meglio del cataletto a spalla, ma sempre decisamente faticoso, soprattutto in salita.

L’ambulanza volante di Larrey
Il primo nome che emerge come pioniere della medicina d’urgenza è Dominique-Jean Larrey. Nato in Francia nel 1766, divenne chirurgo militare e rivoluzionò il soccorso in battaglia, portando la sua ‘ambulanza’ (ospedale da campo) ai margini del fronte. Larrey intuì l’importanza della tempestività: prima dei suoi interventi, i feriti venivano raccolti solo a battaglia conclusa, spesso giorni dopo, aumentando il rischio di morte. Nel 1792, durante la guerra tra Francia e Austria, introdusse le ‘ambulanze volanti’: veicoli leggeri, trainati da cavalli, che permettevano di soccorrere i feriti rapidamente e trasportarli agli ospedali militari. A bordo, erano presenti medicinali, barelle e un equipaggio di chirurghi e infermieri.
Il “Pallino” carro a mano e la nascita dei “carri ambulanza”
La creazione del “Pallino” (dal nome delle sue “bocce” sottostanti) testimonia l’ingegnosità dei livornesi nel rispondere alle esigenze di soccorso. Si trattava di un carro di soccorso progettato con cura, per garantire sicurezza e comfort anche sulle strade più difficili. Era spinto e “guidato” da sei a otto confratelli. Il “Pallino” aveva ruote grandi, studiate per ridurre al minimo le vibrazioni, e una lettiga sfilabile dal telaio. Una cupola con l’emblema e il nome dell’ente proteggeva la testa del malato, sormontata da un lume di ferro e vetro, nel quale bruciava un cero per illuminare il cammino. Un rivestimento semi-antipioggia proteggeva il corpo del paziente. Infine, sulla maniglia di spinta anteriore, era presente un campanello a “colpo” che avvisava del passaggio del carro. Perfettamente bilanciato grazie alle “bocce” sotto, il “Pallino” manteneva la posizione orizzontale senza necessità di supporto.

Nella seconda metà dell’Ottocento, nacquero in Italia le prime Associazioni di Volontari del Soccorso, come la Croce Verde, la Croce Bianca e le Misericordie.
Durante la terza guerra d’indipendenza (1866), comparvero in Italia i primi carri ambulanza, ideati da Agostino Bertani. Questi veicoli a quattro ruote e sette molle potevano trasportare fino a otto feriti, rappresentando un grande passo avanti nel soccorso sanitario.
Le prime ambulanze a motore
Negli anni, la questione del trasporto dei feriti rimase irrisolta e alimentò accesi dibattiti. A Firenze, si fronteggiavano diverse opinioni. Alcuni proponevano l’uso di cavalli per il traino, altri l’assunzione di nuovi «porta» – uomini di fatica stipendiati – mentre alcuni volevano mantenere le tradizioni. Nel frattempo, nel 1894, la città vide l’arrivo della prima automobile, di proprietà del marchese Carlo Benedetto Ginori Lisci. Questo innovativo mezzo stimolò l’immaginazione dei più progressisti, che chiesero alla Misericordia di fare un salto di qualità, sostituendo i tradizionali mezzi con un’auto attrezzata a ambulanza.
Nonostante iniziali resistenze, il progetto trovò supporto con l’elezione di Niccolò Martelli a provveditore nel 1910, che accettò la proposta a patto che non gravasse sulle finanze della Confraternita. Partì così una petizione pubblica per l’acquisto della nuova auto-ambulanza.
L’inaugurazione nel 1911
Enti pubblici, privati e cittadini raccolsero la somma necessaria per l’acquisto dello chassis Fiat 15-25 HP, mentre l’allestimento fu affidato alla Società San Giorgio di Pistoia. L’ambulanza fu inaugurata il 28 maggio 1911, segnando una svolta nei soccorsi della Confraternita, anche se la nuova vettura si rivelò fragile. Nonostante ciò, i tradizionali carri a mano continuarono a essere utilizzati per un lungo periodo, e furono indispensabili durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le automobili vennero requisizioni dai soldati tedeschi.

Nel 1911, anche la Croce Rossa Italiana acquisì la sua prima ambulanza a motore, destinata a Bergamo. Durante la Prima Guerra Mondiale venne sostituita dal Fiat 15 TER.
Con il dopoguerra, la diffusione di veicoli a motore aumentò, grazie alla disponibilità di residuati bellici. Negli anni ’20, si iniziarono a trasformare berline, come la Fiat 501, in ambulanze, dotandole di interni igienici e funzionali. La Fiat 501 divenne una delle vetture più diffuse per le ambulanze, seguita dalle Bianchi. Durante la Seconda Guerra Mondiale, carrozzerie come Pininfarina adattarono i telai delle Fiat 1100 L per realizzare ambulanze, ottimizzando lo spazio per il trasporto dei feriti.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale accelerò lo sviluppo degli automezzi, con il Fiat 1100 BL che divenne la prima autoambulanza nuova nel periodo post-bellico. Questo modello rimase il più diffuso fino alla metà degli anni ’50, quando fu sostituito dalla Fiat 1100/103.

L’evoluzione del soccorso sanitario post-bellico
Nel periodo del governo provvisorio, anche il settore del soccorso sanitario subì un profondo rinnovamento. Con la ripresa del mercato automobilistico, alcune carrozzerie si attivarono per progettare nuovi modelli di ambulanze che segnarono il decennio degli anni Cinquanta. A fine decennio, l’Alfa Romeo lanciò due versioni del furgone Romeo, l’ambulanza “Romeo” e la “Romeo 2”, destinate a Polizia, Vigili del Fuoco e Croce Rossa Italiana. Negli anni ’50, infatti, il concetto di soccorso era principalmente incentrato sul trasporto rapido del ferito all’ospedale, senza interventi medici a bordo dell’ambulanza. Il modello Volkswagen T2, ampiamente utilizzato, incarnava questa visione.

L’evoluzione delle ambulanze proseguì con il Fiat 238, introdotto nel 1967, un passo avanti rispetto al Fiat 1100. Questo modello divenne un punto di riferimento, grazie all’introduzione di un vano sanitario equipaggiato con respiratore volumetrico, defibrillatore e altre apparecchiature essenziali per la rianimazione, trasformando l’ambulanza in un “ospedale mobile”.
Negli anni Sessanta, come sottolinea la Croce Rossa Italiana, l’Italia era dominata dai furgoni, che rappresentavano la base principale per la maggior parte delle ambulanze. Il Fiat 1100 T era il modello più diffuso. Tuttavia, anche il Fiat 238 E si rivelò uno dei più riusciti, distinguendosi per le sue caratteristiche di affidabilità e funzionalità.

L’evoluzione moderna: dagli anni Ottanta ad oggi
La lunga esperienza del FIAT 238 si estese fino agli ultimi anni Ottanta, quando il FIAT Ducato iniziava a guadagnare terreno presso la Croce Rossa Italiana. Il suo successo è dovuto alla grande versatilità, all’affidabilità e alla dotazione completa di apparecchiature per il soccorso urgente e la rianimazione, grazie anche al suo ampio spazio interno. Il Ducato rappresentava oltre il 50% dei veicoli di soccorso sulle strade italiane.

A partire dagli anni ’80, le ambulanze hanno visto un’evoluzione straordinaria, diventando dei veri e propri ospedali in movimento, capaci di fornire cure immediate e un trasporto sicuro. Le normative attuali garantiscono che il trasferimento dei pazienti avvenga nel massimo della sicurezza, rispettando rigide linee guida. Il personale medico e paramedico, con grande professionalità, segue protocolli ben definiti, assicurando che la salute del paziente rimanga sempre al centro dell’intera operazione, rendendo il trasporto sanitario un processo sempre più preciso ed efficiente.
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